sabato 9 novembre 2013

Una mucca ha dato i numeri.

L’inizio sta nel decidere. Provare, passare, partire. Scelta o caso? Comincia un nuovo sentiero.
Emozione, curiosità, qualche dubbio. Dopo poco tutto diventa più nitido e un percorso prende forma. E la presa di coscienza arriva con un simbolo: questo video. Quella creazione ha un perché grande come le cose mai dette. E’ passato più di un anno, ora forse si potrebbe rifarlo meglio, graficamente meglio, tecnicamente meglio ma è giusto lasciarlo così. Perchè sia da monito, sia da ricordo. Si può sempre fare di meglio è vero ma nell’attesa ciò che conta è iniziare a fare.
Così ho appuntato la mente e arrotondato lo spirito.
E ora sono qui a dare i numeri.
13 mesi di vita in formazione con una formazione di 12 mucche. 
18 incredibili docenti, un orientatore  significante, una tutor paziente, una coordinatrice tenace, altri validi collaboratori, 9 travolgenti UF e altrettanti 9 coinvolgenti esami. Vari progetti, altri due moduli, alcuni blog, tre cene, tantissimi pranzi, centinaia di caffè, più di 1000 slide, penne e pennarelli.
Foto, analisi di mercato e analisi interiori, tecniche e teorie, matrimoni, comunicazione, lavori che vanno e che vengono, amicizie che nascono, separazioni, confessioni e lacrime, bischerate e schegge d’anima.
Assertività, web analytics, sinottica, tabelle pivot, storytelling, marketing, marketing, noi stessi.
Risate virali sparse nell’etere lucchese, non solo roba da web.
Da adulti concentrati in piani di comunicazione ad adolescenti ribelli da assemblea di istituto.
Fatica dell’inverno, virus and viral, impegno assiduo e tanti motivi per non mollare mai la presa.
Affamati del lavoro, a volte travolti dal mondo che ti fa sentire un tirocinante della vita ma insieme piccoli ometti coraggiosi e anche un po’ fighetti creativi come qualcuno disse, di certo fatti di energia buona, tutti. Ognuno a suo modo.
Mancano tanti numeri, tanti pezzi e manca ancora quello che deve venire. In corso ancora un progetto e poi ancora un esame, beh l’esame, almeno altre due cene e la sperata qualifica. Senza dimenticare la gita di classe in pulmino a Pavia.
E per tutto questo e molto altro ancora sono grata, davvero.
Alle mucche, a chi ci ha trovato e ci ha governato, a chi ci ha nutrito e ci ha insegnato.
Non so se saremo viola, tra l’altro è un colore che in fondo non mi è mai piaciuto ma so per certo che viola è stato il nostro incontro.  Forse non rivoluzioneremo il mondo del marketing, non firmeremo campagne memorabili o non scriveremo libri bestseller. O forse anche sì. Chissà.

Di sicuro, straordinario sarà il vostro essere in qualsiasi pezzettino di prato vi troverete a  pascolare.

("La Mucca Viola", Lucca ottobre 2012/novembre 2013)

lunedì 5 agosto 2013

Disfare le valigie.

La schiacciata del forno.
Un caffè, buono.
Un giro tra le stanze per riconoscerti.
E poi ore di dormita.
Un buco nel letto e un sonno di silenzio.
Tra le montagne, una cicala amica e i rintocchi del campanile.
Essere di nuovo a casa.


I ritorni sono travolgenti forse più delle partenze.

Disfare le valigie per rimettere a posto vestiti ed emozioni.
Quando si prepara un bagaglio si deve fare attenzione: stirare, ordinare, rispettare i pesi e gli spazi.
E' una metafora dell'organizzare nuove mete da raggiungere.
Fissare obiettivi, allenarsi e far sì che tutto entri in un contenitore per lanciarsi di nuovo.
Scatole che portano cose e aspettative, a volte paure o stress dell'inizio.
Rientrare significa rimettere mano a quello che c'era prima e che è stato scompaginato dal viaggio.
Gli abiti sono sgualciti, ci sono oggetti nuovi da regalare e altri da tenere, non ci sono punti vuoti,
tutto è confuso e stracolmo di quello che ti sei portato dietro.
Ogni cosa dovrebbe tornare al suo posto ma a volte non si può.

Ci vuole tempo. Le maglie forse torneranno nei cassetti ma non i sogni.



martedì 18 giugno 2013

Speech. Dal primo all'ultimo servizio.


Alla fine conti anche le parole nuove che hai imparato. E fai i conti con un piccolo cassetto riaperto che ha buttato fuori nuvole di polvere e si è riempito di gente e linfa nuova. Un breve periodo,  una costruzione di  intenti e brividi sulle unghie. Passare molte ore forse sotto stress, a volte con il timore di non rispettare i tempi , di non essere all’altezza ma passarle con l’animo contento proprio per come le stai passando è una sensazione che riempie. Manca; ascolti il tg con un orecchio diverso e hai la smania di provarci davvero. Ma ora non importa. Non  ti sei portato solo la mancanza perché sei pieno del ricevuto.

Pezzi da scrivere, notizie da cercare, da rimettere insieme secondo i crismi, errori da non fare e sorrisi da condividere. La prima volta che in cabina di registrazione ti metti le cuffie, guardi il “collega” senior a cui, ahilui, sei stato affidato, con sguardo tenero e un po’ vergognoso quasi a scusarti perché sei sicuro che quello che ti sta dicendo non lo saprai fare. E capisci una buona norma o meglio te la riporti alla mente. Imparare è una cosa meravigliosa. Ex novo, ci si può riuscire. Anche chi è bravo  ha avuto la sua prima volta. Poi inizi a “speakerare”, il cuore in gola come se dalle tue parole dipendesse l’esecuzione di qualcuno. Questo al primo colpo, dicesi che porti a una gamma di risultati differenti che oscillano tra: 35 secondi di speech in apnea dove consonanti mangiate si trovano attaccate tra loro e finisci per ascoltare una voce ansimante come quel tipo con i baffi che vendeva cose in tv. Oppure, stessa quantità di caratteri, 1 minuto e quaranta.Una voce dall’oltretomba che per paura di sbagliare la dizione scandisce sillabe come quando si parla a uno straniero per farsi comprendere. Non saprai bene a quale categoria di novello appartieni sino a che non entrerai in regia per la prima volta: quasi come stare al patibolo. Soprattutto perché chi è là dentro magari un regista giornalista con anni di esperienza, divertente e finto burbero, commenta i risultati senza sapere che il giocatore appena arrivato è alle sue spalle.

Se sei già a questo punto, hai scritto qualcosa che può essere stato più o meno ribaltato, hai almeno salito e sceso le scale 20 volte, hai cercato invano un pc su cui lavorare, hai provato a ricordare i nomi di chi sta rispondendo alle tue domande da un paio di giorni, non hai pranzato ma hai preso dei caffè condivisi.
E se sei già qui è l’ora di tirare fuori quel quadernone anni ‘80 che ti sei comprato perché -le cose te le devi scrivere se no mica te le ricordi-,come ti hanno detto. Ci sei, devi montare quello che hai scritto e quello che hai “parlato”. E non puoi starci delle ore perché il tuo posto serve ad altri che nello stesso tuo tempo magari fanno il triplo del lavoro che fai tu. Questo aumenta di gran lunga l’ansia da prestazione. Ed è lì che scoprirai l’aiuto. Chi ti aiuta con flemma, gentilezza ed esperienza, chi lo fa con velocità e concretezza perché sa che  solo così potrà avere il tuo posto, chi lo fa perché la passione non lo ferma e ha bisogno di fare e creare. Tanti modi o scopi ma l’aiuto arriva sempre. Questo è quello che ti permetterà di imparare a fare tutto o quasi da solo, in poco tempo. Non sfornerai servizi da Pulitzer ma almeno sarai in grado di non distruggere un tg o mandare in onda due minuti di nero.

Così ci prendi pure gusto. E passate le prime fasi dove ti sembra di camminare in una frenesia continua inizi anche a conoscere chi ci cammina con te. Colleghi i nomi alle facce, poi i cognomi ai nomi, poi sul foglio dei turni visualizzi i visi sopra ai cognomi e cominci a capire come gira la redazione. Iniziano le parole e anche le risate. E in poco tempo arrivano i “nuovi” e in men che non si dica non sei più tu il “nuovo” e hai pure un soprannome, l’ennesimo e questo ti piace.

Quando il tempo di una nuova avventura è breve, succede spesso che la distanza tra l’appena arrivato e sono quasi alla fine coincidano. Se sai che dura poco, già a metà ti sembra di partire. E invece sei a metà. Ma siccome hai visto come è andata via veloce la prima parte senti che la seconda sia già arrivata alla fine. E’ la conoscenza dei ritmi che porta a questo. Come andare in un posto: le 10 ore per arrivare non hanno mai lo stesso valore del tempo del ritorno. E’ una sensazione emozionante a volte, hai nostalgia di una cosa quando ce l’hai ancora.

Poi se sei fortunato tutto questo esce con te al di fuori di quel tornello. E grazie a qualcuno conosci le storie degli altri ci ridi sopra mentre mangi una pizza, c’è chi perde sangue dal naso, chi porta bottiglie di sambuca per pensare ridendo alla buffa giornata trascorsa, chi ti accoglie in casa sua come se ti conoscesse da anni e chi rimarrà impresso in foto strampalate, nelle frasi di un piccolo blocchettino, nella dedica di una copia del giornale e tutti negli occhi e nelle mani.
Insieme a questo poi, ci attacchi tante strade nuove, cari veri amici rincontrati, mostre di foto e quadri, la tua voce nella metro, giri stravaganti con la tua metà in visita, l’odore della pioggia dopo il sole sull’asfalto.

Un mash-up come fa figo dire in questi tempi: un po’ studente fuori sede, un po’ lavoratore, un po’ giornalista, un po’ scout, un po’ viaggiatore, un po’ erasmus e un po’ stagista, un po’ solitario e un po’ vecchio amico, un po’ tonino va in città, un po’ avventuriero metropolitato. Come un pezzo di puzzle incastrato ma comodo in una vita scombinata.
E ti senti grato. Per questa prova, per chi te l’ha proposta e per come ti è capitata tra le mani, grato per una persona amica che con la sua accoglienza ti ha permesso di viverla, per una città che ti ha ospitato e che non è solo grigio e madunnina e per chi l’ha trascorsa con te.

Le nuove occasioni, anche se piccole, sono questo, le persone sono questo: pezzi di puzzle. A volte sembra che tutto sia scollegato e qualche pezzo sia andato perduto o sciupato tanto da non rientrare al suo posto. E poi basta poco un po’ di curiosità e voglia di provarci ed ogni pezzo acquista di nuovo senso e la scatola del tuo puzzle cresce da sola, ancora.  Speri di aver lasciato almeno qualcosa in cambio del tanto portato via con te. Così da ripartire pieno ma leggero per un’altra strada.

Io a Milano maggio/giugno 2013.

Con gli occhi di chi abita le cose.

Tanti mattoncini rossi di cultura, piazze grandi e piccole,
un’università antica tra cortili, piante e personaggi illustri che l’hanno popolata.
Strade ricche di sapore fatte di tanti sassi scomposti con ordine, di cui non ricordo il nome, richiami a San Siro e a Sant’Agostino tra chiese imponenti e calde e altre sconsacrate.
Tra il giallo di Vienna, edifici ricostruiti dopo tante lotte di conquista
e bombe di liberazione.
Eco di canzoni conosciute e di leggende affascinanti davanti a un vecchio carcere, dove alcuni hanno fatto la tre giorni e altri tutto il militare.
La capitale.
Macchine da cucire, la colomba e la zuppa mentre si scopre il borgo, luogo che divideva in classi le genti e dove brave lavandaie lavoravano per chi viveva al di là del ponte.
E altro, molto altro.
Tanta storia e tanto sapere nell’accoglienza di un Cicerone appassionato, gentile e preparato.
Ecco la mia Pavia.
Grazie Fabio.

Diversamente occupati.

12maggio2013

Spesso si dice che l’acqua sia senza colore, si usa come esempio per rappresentare il trasparente.

E’ un concetto curioso. Povero il tal “trasparente” rilegato in un angolo come se fosse una creatura senza identità, perché non classificato nello spettro dei colori.
Invece è ammirevole. Perché è anche quando non c’è.
Ed è molto di più perché è trasformabile, adattabile, cangiante e assorbente.
Come l’acqua che diventa grigia sfumatosa quando è calda, torbida e arancione quando non scorre da tempo, verde melmosa quando incontra le alghe e ancora e ancora.
Ma ormai troppo spesso siamo abituati a facili categorie che ci rendono le soluzioni più evidenti.
E’ un’idea interpretabile e accostabile a più schematizzazioni che siamo soliti recepire per rinchiudere
in caselle le condizioni umane, sociali.
Come sia effimero definire una persona, disoccupata o al lavoro.(A parte che purtroppo troppo persone al lavoro magari non sono produttive ma questa è un’altra parentesi).
Ecco, non tutte le persone disoccupate sono trasparenti. Magari sono torbide perché hanno incontrato lo scoramento di non sapere come mantenere una famiglia. Magari sono arancioni perché hanno incontrato la rabbia di non sapere più come recuperare la dignità. Ma sono molto altro, fanno altro, vivono altro.
E magari, sono acque giovani, in ebollizione, che scorrono da una parte all’altra.
Non sono bozzi vitrei in una bacinella in attesa. Sono in fermento e sono grigie e vaporose, calde per la smania di riempire vasche nuove e diverse. Acque che si buttano in tanti ruscelli con entusiasmo, umiltà e voglia di fare anche se sanno che forse non arriveranno al mare.
Ne conosco tante di acque così. Non sono trasparenti, sono colorate di tutto ciò che le attraversa.
A volte è faticoso non cedere alle paludi ma per scacciare le sabbie mobili è meglio non fermarsi e
comunque vada , scorrere.
Anche io da domani apro ancora una volta un altro rubinetto e vado ad assorbire nuovi colori.
Mi sento fresca e agitata come l’acqua di montagna.

giovedì 21 marzo 2013

Sul compleanno.


21381.32.80esimo giorno dell’anno.
Questo giorno è, almeno per la metà del globo, il primo giorno di primavera, simbolo di risvegli generali, nuova stagione che libera cambiamenti nelle foglie nelle menti e negli ormoni,
rappresentato dall’Ariete, animale tosto sicuro e un po’ spartano. (Anche questo almeno qui: in altra sede da approfondire il perché la stessa stagione, ad esempio in Argentina, dia spinta e innovazione agli amici meticolosi e sobri della Vergine. Disquisizioni astrali.)
Questo giorno è quindi festa della natura, in Italia almeno in voga negli anni 80 tale festa degli alberi, quando per almeno un paio di settimane a scuola dovevi impegnarti a scrivere, leggere e disegnare qualsiasi cosa affine ad arbusti e vegetazione parlante arrabbiata contro la spazzatura e lo spreco di carta, attività che terminavano per noi, in Fortezza, allora centro selvatico e fresco della nostra natura garfagnina.
E’ pure giorno, a livello meno provincialistico, di giornate mondiali contro il razzismo e per la poesia, feste rispettivamente Onu e Unesco, organizzazioni che tornano sempre nella mia vita puntuali ogni anno, per ogni concorso, per ogni test da inseguire per realizzare sogni di un’altra parallela me.
Questo è anche il giorno nazionale per la lotta contro le mafie. E’ triste pensare che servano giorni dedicati al ricordo, alla memoria, di lotte che dovrebbero essere dentro di noi taglienti, anzitutto contro le nostre illegalità, le nostre sporcizie personali…così il pensiero va a Napoli agli incontri di quel tempo quando ho provato il brivido di svegliarmi la mattina sapendo di aver dormito in un bene confiscato alla camorra.
E’ il giorno mondiale per la sindrome di Down e allora con fermezza senza retorica o presunzione posso dire che la diversità la vediamo noi quando abbiamo paura di essere nudi e ci sentiamo migliori perché lasciamo uno spazio vanitoso alla compassione, sentimento ben più facile della forza che ci vuole per accettare davvero la difficoltà di altri e scoprire in un lampo quanto siamo piccoli e fragili pur credendoci “normali”.
Oggi è pure il Nouruz, l’inizio dell’anno dei miei amici persiani e quanto vorrei essere in Iran di nuovo per dar vita a 15 giorni di gioia e feste danzanti per gridare un po’ della loro sete di libertà.
Questo è il giorno che ha messo al mondo tra gli altri, Alda Merini e Luigi Tenco e se questa data comune potesse darmi almeno uno spruzzo della loro magica follia, mi sentirei come un pavone pieno di energia.
Lo scorso anno in questo giorno è morto un ometto buffo (con rispetto ndr), scrittore, sceneggiatore e tanto altro, paroliere di sfumature dolci e ironiche…mitico Tonino Guerra che se ne è andato ma non con lui, il conosciuto ai più, caro ottimismo sale della vita. E oggi muore Pietro Mennea, che tanto ha vinto nelle sfide e nella corsa ma che è stato vinto dalla malattia.
Oggi per tanti sarà un giorno come tanti, e per tanti sarà un giorno unico, del resto ancora in questo il relativismo ha il suo perché.
Ma oggi in fondo, è anche il mio piccolo giorno, lusingato di far parte di ricorrenze ben più conosciute e importanti.Vorrei rendergli omaggio, perché, anche se in generale scettica e restia a feste comandate e obblighi di memoria, riconosco a lui tanta gratitudine.
Dicono che non cambi niente, anche se quel 2 dopo il 3 tira forte il carro con consapevole ostinazione; dicono che non cambi niente, sarò forse quella di ieri e quella che sarò domani, ma è un giorno simpatico, sempre di sole anche quando piove è c’è uggia.
A me piace ricordarlo perchè lui ricorda a me che ci sono, qui e ora, presente. Non posso esimermi dall’esserci davvero in questa avventura.
A questo punto non so neanche più in che target da sondaggio mi inserisco, so però che sono un giovane non più giovane che vive dentro la tristezza della condizione del nostro povero paese ma che ancora crede che l'obiettivo vero sia lasciare questa terra migliore di come l'abbiamo trovata.
Allora, sono qui per fare, per fare “anche”, per fare di più, cercando di non incattivirmi troppo con il mondo che non se lo merita.
E poi, qualcosa cambia, se solo un giorno serve per ricordarti tutto questo e per ricordarti -come ti dicevano da piccino- che la corsa è lunga! e che non c’è spazio per accontentarsi con rassegnazione ma solo per apprezzare con coraggio. Sarò di certo precaria nel lavoro, nel futuro e nella stabilità mentale, ma so, da buona patetica e anche un po’ banale, che ho sempre un posto fisso, in Dio, nella mia famiglia, nel mio amore e negli amici. Grazie 21 Marzo e grazie a voi!

lunedì 19 novembre 2012

Metafore di cloro a stile libero.


Ho fatto vasche in avanti.
Nuotare e nuotare.
In solitudine,
trattieni il respiro
ti regoli il battito del cuore
e ti fai le spalle larghe.
E anche se poi rimane la carne crepata
la pelle, la pelle sì
è pulita e levigata.


(n.d.r carne crepata, termine popolare che indica
 il sentire dolore dall'aumento di acido lattico)